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Divorzio: revoca, riduzione, annullamento

Che si sia vantato un tenore di vita molto elevato durante la propria vita coniugale è un fattore che non verrà preso più in considerazione per stabilire l’entità dell’assegno di mantenimento da versare al coniuge che ne ha diritto in sede di divorzio.

È quanto ha determinato la sentenza della Cassazione 11504 del 10 maggio 2017, che ha inaugurato invece il concetto dell’indipendenza economica.

In sostanza, detta sentenza rende meno scontato il riconoscimento del mensile, perché lo subordina solo alla mancanza di mezzi adeguati e all’impossibilità di procurarseli, e non anche al tenore di vita durante il matrimonio.

Ne deriva che il coniuge che voglia far revocare la corresponsione mensile, deve provare che l’altro possa provvedere economicamente a se stesso, sia perché possiede dei beni, sia perché dispone di tutti i mezzi e le facoltà per procurarsi un reddito che gli permetta di farlo.

Quindi diventa indispensabile farsi assistere da un bravo avvocato divorzista (chi vive in Lombardia potrà trovare questo portale di indubbia utilità)…

Quattro sono gli aspetti che saranno al vaglio per stabilire l’autosufficienza dell’assegnatario:

  • i redditi di qualsiasi specie
  • i cespiti patrimoniali immobiliari e mobiliari
  • la capacità e la possibilità effettive di lavoro personale
  • la stabile disponibilità di una casa di abitazione.

Qualora però i beni (mobili o immobili) dovessero mancare, sarà più difficile convincere il giudice alla revoca dell’assegno, dal momento non è semplice provare la capacità al lavoro o le concrete chance di trovarne uno.

Tant’è che la stessa Cassazione ha chiarito che a chi percepisce l’assegno non si può chiedere la prova dell’impossibilità di trovare lavoro, soprattutto se la non indipendenza discende anche da altri fattori.

Ma dunque, quando viene decisa la revoca dell’assegno divorzile?
Ad esempio, quando il coniuge coabita con un altro partner, anche se manca la prova che tra i due vi sia, effettivamente, una convivenza more uxorio.

 Al contrario, l’assegno non viene revocato quando:

  • il coniuge tenuto al pagamento è disoccupato e l’ex moglie lavora, ma l’uomo possiede molti immobili che gli consentono di mantenere un significativo standard di vita, mentre l’ex moglie svolge lavori umili e malretribuiti
  • gli ex hanno mantenuto in comproprietà la casa coniugale, che non produce reddito o guadagno
  • il coniuge beneficiario dell’assegno è lavoratore saltuario e “in nero”.

 È possibile richiedere la riduzione del mantenimento divorzile nel caso in cui:
• l’ex moglie sia tornata a vivere dai genitori, mantenendo più o meno stabili le proprie condizioni di vita, mentre l’ex marito, obbligato al pagamento, abbia perso il lavoro e abbia difficoltà ad assolvere all’obbligo

  • all’ex moglie sia stata riconosciuta la pensione sociale
  • il coniuge tenuto al pagamento abbia nuovi figli (le esigenze del nuovo nucleo familiare rappresentano una motivazione di riesame delle condizioni economiche)
  • il pagante abbia perso il lavoro.

 L’assegno non viene ridotto qualora le difficoltà economiche dell’obbligato siano state causate dalle sue scelte poco oculate.

Dunque, nella decisione di ridurre o meno l’assegno entrano nella valutazione criteri come:

  • le condizioni dei coniugi,
  • le ragioni della decisione,
  • il contributo personale ed economico alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno o comune
  • i redditi.

 Rappresentano condizioni valide per l’aumento dell’importo: 

  • le nuove esigenze della prole dovute alla crescita, ad esempio al trasferimento dei figli in una facoltà fuori sede, che incrementa le spese
  • l’assegnazione di una cospicua eredità all’altro coniuge (i giudici aumenteranno l’assegno per i figli ma non quello per l’ex).

 Non porta ad un incremento dell’assegno, invece, la circostanza per la quale l’assegno rappresenti l’unica entrata dell’ex che, per età, non sia più idoneo ad iniziare un lavoro.